Onorevoli Colleghi! - Il mondo che stiamo vivendo è oramai profondamente diverso da quello in cui le ultime generazioni sono nate, sono cresciute e si sono formate. Negli ultimi venti anni si sono verificati cambiamenti epocali che hanno determinato una realtà nuova, complessa e in continua mutazione.
      Immediatamente dopo il crollo del Muro di Berlino, in molti si affrettarono ad ammonire che quello era un evento destinato a segnare il futuro dell'umanità, che si sarebbero verificati cambiamenti e trasformazioni radicali, che il mondo sarebbe rapidamente cambiato. Ebbene, quelle trasformazioni sono in effetti avvenute e hanno realmente trasformato la realtà che viviamo, i rapporti sociali, politici, economici e culturali di milioni di persone.
      Appare evidente, però, che di quel monito in troppi paiono essersene dimenticati, tanto che la lettura di molti fenomeni e avvenimenti che caratterizzano l'ultimo ventennio resta spesso limitata a un'interpretazione parziale, a cui sembra

 

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mancare la reale consapevolezza che quello che stiamo vivendo è un mondo diverso da quello in cui siamo cresciuti.
      I rapporti internazionali, quelli politici ed economici, così come molte delle dinamiche interne ai singoli Stati nazionali, sono spesso legati dal fatto di essere conseguenza più o meno diretta di una nuova realtà, molto più dinamica, probabilmente fragile e indeterminata rispetto a quella consolidatasi fino all'ultimo decennio del secolo scorso. È necessario fare uno sforzo perché questa diventi una consapevolezza acquisita che ci permetta di affrontare e di governare il cambiamento. Questa è infatti la sfida fondamentale che la politica ha oggi davanti a sé.
      A pochi mesi dalla caduta del Muro di Berlino scoppiò il primo conflitto iracheno, con l'intervento militare diretto degli Stati Uniti d'America e di altre nazioni occidentali nel Golfo persico: fino a pochi mesi prima questo sarebbe stato di fatto impossibile. Negli stessi anni, al di là di quella che una volta era la «cortina di ferro», tutti i Paesi dell'ex blocco sovietico si incamminarono sulla strada della democratizzazione e dell'economia di mercato, verso quel modello occidentale di democrazia che era risultato vincente, alla fine di uno scontro durato per tutto il novecento, con diversi modelli e sistemi totalitari.
      Tale percorso non è stato per tutti i Paesi dell'ex blocco sovietico uguale e spesso, anzi, è stato caratterizzato da sviluppi traumatici e drammatici. In generale, nel breve periodo, tale passaggio ha creato, e non poteva essere altrimenti, forti ed evidenti contraddizioni. Milioni di uomini ne hanno pagato, e continuano a pagarne, le conseguenze; intere popolazioni sono state coinvolte da questi cambiamenti e sarebbe impensabile che tutto potesse essere risolto nell'arco di pochi anni.
      Come inevitabile conseguenza di cambiamenti così profondi e radicali è apparsa evidente l'esigenza di ripensare i termini della convivenza e di farlo su un piano non più meramente nazionale, all'interno di un mondo diviso in blocchi. Un mondo nel quale le comunicazioni, il commercio, gli spostamenti e le relazioni internazionali erano vincolati, «costretti» all'interno di un determinato assetto geo-politico, di un mondo, appunto, diviso in blocchi.
      In primo luogo sono fisiologicamente apparse nuove esigenze economiche e la necessità di ripensare l'economia nazionale su una scala differente, in un panorama molto più vasto di quello precedente. Sono apparsi una realtà mondiale, con potenzialità enormi, e un mercato globale, molto più selettivo e competitivo.
      Lo Stato nazionale, in particolare in Europa, dove è nato caratterizzandone gli ultimi secoli di storia, ha mostrato i suoi limiti di competitività, in una realtà decisamente più vasta di quella precedente, nella quale sarebbero apparsi nuovi e aggressivi protagonisti, basti pensare alle nuove potenze asiatiche: India e Cina possono contare su risorse umane e non solo inesauribili, su un mercato interno nazionale vastissimo, praticamente di dimensioni continentali rispetto agli Stati nazionali europei, quasi senza confini, su costi di produzione enormemente più bassi di quelli occidentali. Il mercato asiatico nel suo complesso appare come nuova frontiera dello sviluppo e della crescita economici mondiali, una realtà capace di essere sia una fonte di nuova ricchezza e investimenti sia una minaccia concreta per la competitività occidentale, in particolare della vecchia Europa.
      L'Europa si è trasformata così, rapidamente, da una chimera ad una necessità economica, unico strumento per garantire il mantenimento del livello di vita dei suoi abitanti. Una necessità economica che aveva due fondamentali esigenze: la prima, estendersi, rafforzandosi come soggetto capace di competere su scala mondiale; la seconda, riflettere e ragionare sui motivi fondanti del suo esistere, che non possono essere di sola natura economica. Entrambi i processi sono ancora in corso e destinati a caratterizzare lo sviluppo politico, economico, sociale e culturale dei prossimi anni.
      Le comunicazioni e la loro trasformazione hanno contribuito, in maniera determinante,
 

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a segnare la fine del «vecchio mondo» e l'inizio di quello nuovo. Sono state probabilmente il tratto caratterizzante di questo passaggio. La «esplosione» delle comunicazioni, l'enorme potenzialità che la tecnologia ha dimostrato di avere in questo settore sono uno degli snodi principali per comprendere e interpretare la realtà contemporanea. In pochi anni abbiamo scoperto che informazioni di ogni tipo possono essere trasmesse in pochi secondi tra luoghi di continenti diversi.
      Tale potenzialità si è affermata per molti aspetti «democraticamente», diventando presto patrimonio collettivo. Questo aspetto, così dirompente, ha contribuito e contribuisce tuttora a creare momenti di riflessione e timori. Se da una parte appare necessario estendere la conoscenza dei nuovi linguaggi e delle tecnologie necessarie per utilizzarli a più cittadini del mondo possibili, per evitare che la capacità di condividere informazioni, di scambiarle, di accrescere la propria conoscenza diventi un nuovo fattore di discriminazione, contemporaneamente, dall'altra parte, si riflette sui limiti e sull'eventuale necessità di controllare questi flussi informativi, di come farlo, di chi possa farlo e, anche, non si può non riflettere sulla proprietà e sulla gestione di questi mezzi di comunicazione, sul fatto che i centri di diffusione potrebbero diventare patrimonio esclusivo di quella che potrebbe essere una nuova élite mondiale.
      La globalizzazione, il fenomeno che è da qualche anno così denominato, non è solo davanti ai nostri occhi ma è una realtà che stiamo vivendo, una realtà che la politica ha il dovere di governare.
      Questo fenomeno, questa nuova realtà, non è solo caratterizzato dalla presenza di una sola «grande potenza» mondiale, da un nuovo scenario di relazioni internazionali, dalla nascita di nuovi soggetti politici sopranazionali, dall'apertura di mercati mondiali, dall'affermazione di nuovi metodi di comunicazione, da una comunicabilità generale di uomini, merci e idee, enormemente più vasta rispetto al più recente passato, dall'ingresso sul panorama mondiale di nuovi protagonisti, ma anche da una nuova e molto più incisiva mobilità degli individui.
      I flussi migratori rappresentano una parte integrante e non eliminabile del processo di globalizzazione e non sarebbe concepibile ipotizzare l'apertura dei mercati e l'abbattimento delle barriere economiche senza considerare contestualmente la possibilità di un incremento della mobilità degli individui e di un incremento costante dei flussi migratori, in particolare, dai Paesi più poveri e meno avanzati verso quelli più ricchi e sviluppati.
      Se, dunque, la globalizzazione nel suo complesso va governata, è evidente come sia necessario governare anche i flussi migratori che la caratterizzano. È necessario prendere atto di questa nuova realtà, aggiornare gli strumenti che abbiamo a disposizione, predisporne degli altri e affrontare anche i relativi costi, inevitabilmente connessi a tale necessità.
      In particolare i flussi migratori vanno governati per permettere uno sviluppo armonico, fondato su princìpi come la tolleranza, il reciproco rispetto, il confronto tra diverse culture, senza pensare di eliminare le differenze, che esistono e che vanno tutelate armonizzandole tra loro, con l'obbiettivo di allargare l'area di sviluppo e di benessere.
      Appare evidente che tale obiettivo non può essere perseguito affermando una linea di confuso e controproducente generalismo. Dobbiamo avere presente che se da una parte esistono i diritti dei popoli migranti, dall'altra resistono legittimamente i diritti delle popolazioni residenti. Tali diritti vanno evidentemente e inevitabilmente contemperati, senza che gli uni prevalgano sugli altri.
      Il terreno della sicurezza e del rispetto della legalità è, ad esempio, uno dei più delicati sul quale appare necessario intervenire con la giusta fermezza, per rispetto non solo ai cittadini italiani, ma anche ai tanti stranieri onesti che pagano quotidianamente il ricorso strumentale, che spesso è fatto, all'immigrazione clandestina. L'obiettivo deve essere quello di salvaguardare quella che potremmo definire la «buona immigrazione» da quella che invece
 

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è la «cattiva immigrazione». Quest'ultima si presta, infatti, ad uno sfruttamento inumano e sistematico dei cittadini stranieri e alla pratica inaccettabile del commercio di esseri umani: dobbiamo impedire che questo triste e inqualificabile fenomeno possa continuare a sopravvivere.
      Lo spirito della presente proposta di legge è quello di puntare a governare il cambiamento e per farlo riteniamo che sia necessario definire regole chiare, che possano anche servire come deterrente alla pratica della clandestinità. La legge e il suo rispetto sono i princìpi fondamentali su cui costruire una società che sappia essere davvero tollerante e inclusiva, mantenendo alto il suo livello di coesione sociale.
      Al 31 dicembre 2006, secondo i dati ufficiali del Ministero dell'interno-Dipartimento della pubblica sicurezza, direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere, servizio immigrazione, il numero degli stranieri rintracciati in posizione irregolare sul territorio nazionale è di 124.383, con un aumento del 3,7 per cento. L'attività delle organizzazioni criminali che organizzano gli sbarchi clandestini, in particolare di quelle operanti in Libia, appare essere ancora molto redditizia, tanto che i natanti sequestrati sono passati dai 187 dell'anno 2005 ai 327 dell'anno 2006.
      Si segnala, in particolare, come sia notevolmente aumentato il flusso di cittadini clandestini marocchini passati dalle 3.624 unità dell'anno 2005 alle 8.146 unità dell'anno 2006, aumento dovuto in massima parte al contenimento del fenomeno migratorio illegale da parte delle autorità spagnole, attuato a decorrere dai mesi estivi dell'anno 2005.
      Persistono anche le altre modalità e rotte di arrivo clandestino, tra cui il ricorso alla falsificazione dei documenti necessari: fenomeno che lascia riflettere su quanto potrebbe essere necessario provvedere a un controllo della documentazione non solo alle frontiere italiane, ma direttamente presso i consolati italiani all'estero.
      Secondo l'ultimo dossier statistico sull'immigrazione realizzato da Caritas-Migrantes, nel 2006 solo il 36,5 per cento (45.449) dei 124.383 stranieri individuati in posizione irregolare dalle Forze dell'ordine è stato rimpatriato. Rispetto al 1999 si registra, quindi, una preoccupante diminuzione: in tale anno, infatti, la percentuale dei rimpatri era del 64,1 per cento.
      Nel contesto generale dei fenomeni migratori, e della loro metodologia, è però necessario tenere in debita considerazione l'entità dei flussi provenienti dagli altri Paesi dell'area Schengen, dalle cosiddette «frontiere interne» e, ancora di più, il fenomeno dei cosiddetti «overstayer», quegli stranieri, cioè, che entrati regolarmente nel territorio italiano o in quello dell'area Schengen vi rimangono anche dopo la scadenza del visto o dell'autorizzazione al soggiorno.
      Proprio questa tipologia, quella degli «overstayer», sembra essere, in effetti, la principale fonte della clandestinità, sia in Italia che in tutti gli altri Paesi dell'area Schengen. Dai dati in nostro possesso sembra che più del 60 per cento della popolazione clandestina presente in Italia sia rappresentata da stranieri che entrano regolarmente sul nostro territorio e che poi vi rimangono dopo la scadenza del loro visto o permesso di soggiorno.
      Appare, dunque, evidente come spesso la richiesta di ingresso regolare sia del tutto strumentale alla possibilità di permanenza clandestina. Alla luce di questo fenomeno appare necessario, in primo luogo, ribadire quanto sarebbe utile un controllo della documentazione dei richiedenti nei loro Paesi di origine e, in secondo luogo, riflettere su come il fenomeno della clandestinità si stia evolvendo e si realizzi in maniera differente dall'immaginario collettivo.
      In questo contesto, inoltre, appare necessario valutare con attenzione il reale grado di collaborazione da parte dei diversi Paesi stranieri con i quali l'Italia ha firmato specifici accordi bilaterali in tema di politiche migratorie (attualmente sono 27), tenendo presente che non sempre tali
 

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accordi riescono ad essere efficaci. Molti Paesi stranieri, infatti, gestiscono i loro flussi migratori utilizzandoli anche come strumento di pressione politica e diplomatica.
      È evidente, inoltre, che l'organizzazione dei flussi migratori clandestini conosce bene la nostra legislazione e sa sfruttarne i vuoti e le lacune.
      In particolare, oggi sappiamo, come detto, che l'origine della clandestinità non è più legata a ingressi già in origine illegali, ma molto di più a ingressi di stranieri regolari che una volta scaduto il loro permesso decidono di rimanere nella clandestinità. Questo è possibile perché attualmente appare sostanzialmente impossibile, per le autorità competenti, predisporre il rimpatrio del clandestino.
      Il problema principale rispetto alla gestione dei flussi migratori appare, dunque, essere quello della possibilità concreta di rimpatriare l'eventuale clandestino. In mancanza del suo riconoscimento e della possibilità di risalire alla sua nazionalità, diventa di fatto impossibile predisporne il rimpatrio, lasciando di fatto alla discrezionalità del clandestino la decisione di ritornare nel Paese di origine, una contraddizione questa che deve essere risolta.
      È necessario intervenire con misure idonee affinché i cittadini stranieri presenti sul nostro territorio siano facilmente identificabili, anche nell'ottica di garantire i giusti livelli di sicurezza sociale che abbiamo il dovere di difendere nell'interesse della collettività.
      Non appare possibile permettere che si possa pensare di vivere nel nostro Paese al di fuori delle leggi che lo governano, di soggiornare in Italia senza essere identificabili e, dunque, evitando volontariamente di essere ricondotti alla responsabilità delle proprie azioni. Questa distorsione deve essere superata attraverso una legislazione capace di garantire a tutti cittadini, italiani e stranieri, il rispetto delle leggi e, dunque, la giusta coesione sociale.
      Bisogna inoltre considerare che attualmente nella legislazione vigente appare necessario inserire norme specifiche finalizzate a un controllo effettivo sui soggetti richiedenti forza lavoro straniera. Non è stabilito, infatti, alcun meccanismo di previsione circa il volume d'affari delle imprese e delle attività commerciali operanti sul nostro territorio che fanno ottenere, con la richiesta di occupazione, il permesso di soggiorno a moltissimi stranieri.
      L'immigrazione resta un'opportunità di crescita e di sviluppo economico e culturale per il nostro Paese, un'opportunità che bisogna essere in grado di valorizzare al massimo. Per farlo le politiche migratorie vanno affrontate senza lasciare spazio a impostazioni di carattere ideologico, che spesso risultano controproducenti anche per i soggetti che si vorrebbe con queste tutelare. È necessario affrontare i flussi migratori con serietà e pragmatismo, al di fuori di schemi ideologici superati e inadeguati. La tolleranza, il rispetto e l'accoglienza non possono essere travisati e confusi con generale permissivismo.
      Il rischio di un atteggiamento del genere è quello di provocare, in primo luogo, la crescita nella popolazione residente di un diffuso sentimento di insicurezza, ostacolo principale a un processo di coerente integrazione; in secondo luogo, quello di offrire effettivamente il fianco a comportamenti illegali; in terzo luogo, quello di favorire, da un lato, un vero e proprio traffico di esseri umani, e, dall'altro, di lasciare il campo alla crescita del lavoro nero, di cui troppo spesso gli stranieri clandestini diventano vittime.
      Abbiamo bisogno di regole chiare, in particolare degli strumenti necessari affinché si possa risalire facilmente all'identificazione dei cittadini stranieri presenti in Italia. Regole che avrebbero anche un carattere fortemente dissuasivo fungendo come un forte deterrente nei confronti del ricorso strumentale all'immigrazione clandestina.
      Siamo coscienti che il problema di una coerente gestione dei flussi migratori non è un problema esclusivamente italiano. Manca, al riguardo, una normativa comune per la lotta all'immigrazione clandestina valida per tutti i Paesi membri dell'Unione europea, che possa impedire agli stranieri irregolari di muoversi da un
 

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Paese all'altro aggirando di volta in volta la normativa dei singoli Stati. In questo senso gli accordi di Schengen non paiono in grado di dettare delle linee guida sufficientemente stringenti per coordinare la legislazione in materia di immigrazione dei vari Paesi aderenti. Si segnala, al riguardo, che uno straniero clandestino una volta entrato nei confini dell'area Schengen può muoversi tra i vari Paesi senza controlli o, comunque, aggirandoli facilmente.
      Dobbiamo essere particolarmente attenti nei confronti di un altro aspetto direttamente collegato all'immigrazione clandestina, cioè al rapporto esistente tra questa e il ricorso al lavoro nero, che negli ultimi anni si è particolarmente radicato. Un rapporto, questo, che può essere interrotto intervenendo sulla diminuzione della clandestinità.
      Aumentare i livelli di integrazione sociale, promuovere una immigrazione sostenibile, contrastare la tratta di esseri umani, combattere il ricorso al lavoro nero, aumentare il livello di sicurezza nel nostro Paese, mettere in campo politiche autenticamente tolleranti e integrative, sostenere lo sviluppo e la crescita dell'economia italiana, offrire un futuro migliore a molti stranieri: questi gli obiettivi principali della presente proposta di legge, che riteniamo possibile conseguire attraverso una politica capace di governare il cambiamento, una politica fondata sul rispetto del prossimo e, dunque, delle leggi e delle regole che governano una società, che vanno aggiornate e rese coerenti, al di là di controproducenti impostazioni ideologiche, con le necessità reali della modernità.
      Il capo I (articoli 1-24) della presente proposta di legge reca modifiche al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni, di seguito denominato «testo unico».
      L'articolo 1, al fine di promuovere l'immigrazione regolare attraverso una migliore gestione delle «quote», dispone: la programmazione triennale delle quote di cittadini stranieri da ammettere annualmente in Italia (comma 1, lettera a)); la destinazione di parte delle quote d'ingresso a lavoratori che hanno frequentato nei Paesi di origine dei corsi di formazione professionale finanziati dal Governo italiano (comma 1, lettera b)).
      Con l'articolo 2, al fine di promuovere l'immigrazione regolare, si è cercato di favorire l'incontro tra domanda e offerta di lavoro di cittadini stranieri attraverso la previsione che, per determinate categorie di lavoratori subordinati, possano essere superate le quote nella misura di un numero prefissato di richieste eccedenti la stessa quota (ad esempio, per le categorie delle domestiche e badanti), a condizione che il settore di attività non possa essere cambiato prima che siano trascorsi ventiquattro mesi dalla data di instaurazione del primo rapporto di lavoro.
      All'articolo 3, al fine di ridurre il fenomeno della falsificazione dei documenti utili per l'ingresso nel territorio italiano, è stata prevista la presenza, presso i nostri consolati all'estero, di un nucleo di Forze di polizia che attesti l'autenticità della documentazione presentata dagli stranieri per il rilascio dei visti (comma 1, lettera b)). Al fine di allineare il nostro Paese alla normativa comunitaria si modifica, poi, la disciplina degli ingressi per soggiorni inferiori a tre mesi: non si richiede più il permesso di soggiorno ma una semplice dichiarazione che lo straniero, entro otto giorni dall'ingresso, deve fornire all'autorità di frontiera o al questore della provincia in cui si trova, secondo le modalità stabilite con decreto del Ministro dell'interno (articolo 3, comma 1, lettera c); si noti che disposizioni simili sono contenute nella legge 28 maggio 2007, n. 68, fortemente voluta dal Governo proprio per bloccare la procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia promossa dalla Corte di giustizia delle Comunità europee). Si sono però inseriti parametri stringenti intesi nel senso di limitare, per quanto possibile, l'utilizzo strumentale di questo tipo di ingresso.
 

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      Con l'articolo 4, al fine di semplificare la disciplina dei permessi di soggiorno, per promuovere l'immigrazione regolare e combattere il fenomeno dell'immigrazione clandestina si è prevista la possibilità di procedere, accanto alla richiesta di rilievi fotodattiloscopici, ad ulteriori esami, a discrezione delle autorità competenti, che consentono l'identificazione certa della persona (ad esempio, esame della retina) (comma 1, lettera b)). Inoltre, i dati acquisiti a seguito degli esami vanno raccolti in un'apposita banca dati istituita presso il Ministero dell'interno (comma 1, lettera c)); si dispone, inoltre, che il permesso di soggiorno non sarà più necessariamente legato al contratto di lavoro (comma 1, lettera e)), in quanto, con l'introduzione nel testo unico dell'articolo 5-ter (articolo 6 della presente proposta di legge), è reintrodotta la figura dello «sponsor». Sono stati poi prorogati i termini di scadenza dei permessi di soggiorno (comma 1, lettera f)) muovendoci nell'ottica secondo cui si tratta, in questo caso, di stranieri già identificati e con esperienze lavorative alle spalle e, dunque, presumibilmente, di casi di «buona immigrazione». Inoltre, viene introdotto un nuovo tipo di permesso di soggiorno, quello per la ricerca di lavoro, per il quale sono previsti comunque parametri stringenti (comma 4-ter dell'articolo 5 del testo unico, introdotto dall'articolo 4, comma 1, lettera f), della presente proposta di legge); tale permesso, infatti, ha una durata di dodici mesi, rinnovabile una sola volta e per non più di sei mesi, per dare la possibilità a chi ha il permesso di soggiorno in scadenza di poter cercare un'occupazione senza entrare nella clandestinità. Il permesso di soggiorno per la ricerca di lavoro può essere concesso però solo agli stranieri che hanno lavorato o studiato in Italia per almeno un anno e che dimostrano di essere in possesso dei mezzi materiali necessari al proprio sostentamento durante il loro soggiorno e di avere un preciso domicilio in Italia. Si è inoltre voluta rendere più rigida la valutazione, da parte del giudice, della «pericolosità dello straniero», considerando le condanne per taluni reati cause ostative (ovvero di revoca) alla concessione e al rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di famiglia (comma 1, lettera h)). Lo straniero condannato negli ultimi cinque anni per i reati di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale (omicidio, estorsione, rapina, sequestro, violenza sessuale, detenzione di armi, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti, associazione a delinquere, associazione di tipo mafioso, banda armata, associazioni sovversive), di cui agli articoli 380 e 381 del medesimo codice e per quelli di cui all'articolo 12, commi 1 e 3, del testo unico (favoreggiamento dell'immigrazione clandestina) non può ottenere né rinnovare il permesso di soggiorno e, se ne è già in possesso, gli viene immediatamente revocato (comma 1, lettera i)).
      L'articolo 5 dispone che al fine di controllare effettivamente i soggetti richiedenti forza lavoro straniera, questi devono presentare, in allegato al contratto di soggiorno per lavoro subordinato, idonea documentazione attestante il volume d'affari ai sensi dell'articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, relativo ai due anni precedenti alla data di presentazione della domanda.
      Con apposito decreto del Ministro dell'interno, di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale e della solidarietà sociale, sarà indicato il numero di lavoratori stranieri che i datori di lavoro, divisi per fasce di volumi d'affari, potranno assumere. La definizione delle suddette fasce di volumi d'affari sarà disposta dal medesimo decreto; inoltre, gli stessi soggetti dovranno dimostrare di avere almeno due bilanci in attivo negli ultimi tre anni di attività.
      Al fine di agevolare l'ingresso regolare degli immigrati, con l'articolo 6 si reintroduce, come già rilevato, la figura dello «sponsor»: il cittadino italiano o straniero regolarmente soggiornante che intenda farsi garante dell'ingresso di uno straniero per consentirgli l'inserimento nel mercato del lavoro, ma solo per necessità legate alla propria sfera personale.
 

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      Altri soggetti che possono farsi «garanti» dell'ingresso dello straniero in Italia sono le aziende, a seconda del proprio fatturato, e le cooperative.
      I «garanti» devono presentare apposita richiesta nominativa alla questura della provincia di residenza, la cui autorizzazione all'ingresso costituisce titolo per il rilascio del visto di ingresso. Il richiedente deve dimostrare di poter effettivamente assicurare allo straniero alloggio e copertura dei costi per il sostentamento per la durata del permesso di soggiorno, oltre a provvedere alle spese di viaggio dello straniero (articolo 5-ter, comma 2, del testo unico). Le aziende richiedenti sono poi tenute a presentare idonea documentazione attestante il volume d'affari e la situazione finanziaria della propria attività, secondo quanto stabilito dalle lettere b-bis) e b-ter) del comma 1 dell'articolo 5-bis del testo unico, introdotte dall'articolo 5 della presente proposta di legge.
      Nel complesso, al contratto di soggiorno, che non è eliminato, affianchiamo, dunque, come ipotesi alternativa lo «sponsor», ma non l'auto-sponsorizzazione. Si affianca, inoltre, anche il permesso di soggiorno per ricerca di lavoro, subordinandolo però a parametri stringenti. Si creano dunque più modalità di ingresso e di permanenza nel territorio italiano per facilitare la «buona immigrazione», seguendo in questo modo un'impostazione evidentemente scevra da influssi ideologici.
      L'articolo 7, al fine di combattere il fenomeno dell'immigrazione clandestina prevede, innanzitutto cercando di risolvere il problema dell'identificazione degli stranieri, che le procedure per l'identificazione vanno avviate fin dal momento del fermo (comma 1, lettera c)). Inoltre si predispone il trattenimento preventivo presso i centri di identificazione amministrativa istituti ai sensi dell'articolo 13-ter del testo unico, introdotto dall'articolo 15 della presente proposta di legge.
      L'articolo 8 è finalizzato a garantire la massima reperibilità degli stranieri presenti nel territorio italiano con un semplice visto per soggiorni di breve durata per motivi di visite, studio, affari e turismo (previsto dall'articolo 4 del testo unico, come modificato dall'articolo 3 della presente proposta di legge). Si è introdotta, con una modifica all'articolo 7 del testo unico, la previsione secondo la quale chiunque dia alloggio ovvero ospiti uno straniero deve non solo darne comunicazione all'autorità di pubblica sicurezza, ma deve altresì richiedere e conservare una copia della sua dichiarazione di presenza.
      Coerentemente con quanto disposto già nell'articolo 4, comma 1, lettera h), della presente proposta di legge, si specifica con l'articolo 9 che, nel valutare il grado di «pericolosità» dello straniero ai fini del rilascio del permesso di soggiorno di lungo periodo, occorre considerare le eventuali condanne per taluni reati come cause assolutamente ostative, e non come semplici elementi di cui si deve «anche tenere conto» (comma 1, lettere a) e b)).
      Gli articoli 10 e 11 della presente proposta di legge recano norme di coordinamento al testo unico al fine di adeguarlo alle modifiche introdotte dagli articoli precedenti.
      All'articolo 12, al fine di assicurare una più puntuale applicazione della legge e un maggiore controllo, è prevista l'istituzione presso la questura del capoluogo di ogni regione di una struttura specializzata che si occupi esclusivamente delle procedure relative all'immigrazione, con una dotazione organica di uomini e di apparecchiature telematiche sufficiente in relazione alla percentuale di immigrati presenti nella provincia.
      Con l'articolo 13, al fine di contrastare il fenomeno dell'immigrazione clandestina aumentando le pene per coloro che la favoriscono, sono apportate diverse modifiche all'articolo 12 del testo unico, prevedendo, sulla base di quanto già proposto dal Governo, disposizioni specifiche.
      All'articolo 14 si sono inserite delle norme che tendono a estendere i parametri per l'espulsione non solo ai confini italiani ma all'intera area Schengen. Sono state altresì aumentate le pene per eventuali
 

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reingressi clandestini a seguito di espulsione.
      Il problema dell'identificazione dei clandestini è cruciale all'interno della questione «immigrazione». L'ipotesi prevista dall'articolo 15 della presente proposta di legge, che introduce l'articolo 13-ter del testo unico, è quella dell'istituzione in tutte le regioni di specifici centri di identificazione amministrativa, distinti, ma coordinati, con i centri di permanenza temporanea, dove lo straniero che rifiuta di fornire le proprie generalità può essere fermato, ai sensi di quanto disposto dal comma 3 dell'articolo 6 del testo unico (come sostituto dall'articolo 7 della presente proposta di legge), per un periodo di tempo necessario allo svolgimento del processo per direttissima, svolto ai sensi di specifiche norme del codice penale (introdotte dalla presente proposta di legge), o comunque per un periodo di tempo utile al suo riconoscimento. Il fermo è disposto con provvedimento immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame o ad impugnativa da parte dell'interessato.
      È poi introdotto un meccanismo premiale per chi collabora alla propria identificazione, prevedendo che possa rientrare in Italia dopo un periodo comunque non inferiore a diciotto mesi.
      L'istituzione dei nuovi centri comporta, implicitamente, un censimento della fisionomia dei centri di permanenza temporanea, nei quali confluiranno immigrati clandestini di diverso tipo: 1) i cittadini stranieri che hanno vissuto e lavorato in Italia, ma che sono caduti in irregolarità solo in un secondo momento; 2) i cittadini stranieri identificati ovvero che collaborano fattivamente alla loro identificazione e alle operazioni di contrasto all'immigrazione clandestina.
      L'articolo 16 prevede l'istituzione di almeno un centro di permanenza temporanea in ogni regione, presso i centri di identificazione amministrativa, e stabilisce che essi siano dotati di propri mezzi e strutture.
      All'articolo 17 è previsto che lo straniero condannato per i reati di cui all'articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale (omicidio, estorsione, rapina, sequestro, violenza sessuale, detenzione di armi, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti, associazione a delinquere, associazione di tipo mafioso, banda armata, associazioni sovversive), di cui agli articoli 380 e 381 del medesimo codice di procedura penale e per quelli di cui all'articolo 12, commi 1 e 3, del testo unico (favoreggiamento dell'immigrazione clandestina), dopo aver scontato la pena, è immediatamente espulso dal territorio nazionale.
      L'articolo 18 modifica il grado di parentela per evitare l'espulsione portandolo al terzo grado dal quarto, questo anche in virtù delle caratteristiche peculiari delle famiglie di molti stranieri.
      L'articolo 19 reca norme di coordinamento. Si inseriscono al contempo norme premiali (aumento delle quote di ingresso) per i Paesi che collaborano effettivamente al riconoscimento dei propri cittadini fermati sul territorio italiano. L'indice della collaborazione è dato dal numero dei rimpatri effettuati a seguito della necessaria identificazione ed è determinato dal Ministero dell'interno, che riferisce annualmente alle Camere sulla collaborazione ottenuta dai singoli Paesi.
      Con l'articolo 20 si rafforza il presupposto del volume d'affari come condizione per richiedere lavoratori stranieri: si tratta, in generale, di un articolo congeniato per colpire il ricorso al lavoro nero e allo sfruttamento dei lavoratori stranieri, inasprendo le pene per coloro che impiegano lavoratori senza permesso di soggiorno.
      Con l'articolo 21 si dispongono misure atte a limitare il ricorso al ricongiungimento familiare.
      L'articolo 22 rende automatico, al compimento della maggiore età, il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di studio, di accesso al lavoro, di lavoro subordinato o autonomo, per esigenze sanitarie o di cura, per il figlio minore dello straniero che convive con almeno un genitore regolarmente soggiornante in Italia.
      L'articolo 23 è finalizzato, invece, a sanare la posizione degli stranieri che si trovano in possesso di un permesso di soggiorno scaduto e che dimostrano di
 

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aver lavorato regolarmente in Italia: entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge questi, infatti, possono richiedere il permesso di soggiorno per la ricerca di lavoro istituito dall'articolo 3.
      Con l'articolo 24 si prevede una sanatoria per lo straniero già sottoposto a decreto di espulsione che decide di collaborare al suo riconoscimento e, dunque, al suo rimpatrio, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge; in questo caso si dispone l'immediato rimpatrio e gli si riconosce la possibilità di rientrare in Italia regolarmente dopo trentasei mesi.
      Il capo II (articoli 25, 26 e 27) reca modifiche al codice penale.
      Con l'articolo 25 si prevedono pene più severe per coloro che dichiarano o attestano falsamente la propria identità, non solo alla presenza di un pubblico ufficiale, ovvero in un atto pubblico.
      L'articolo 26 introduce un nuovo tipo di reato, ovvero l'alterazione o la mutilazione delle creste papillari o dei polpastrelli delle dita delle mani o di altre parti del corpo utili per consentire l'identificazione o l'accertamento di qualità personali proprie o di altri.
      Con l'articolo 27 si sostituisce l'articolo 496 del codice penale, introducendo la nuova fattispecie di reato relativo al rifiuto di collaborazione in ordine all'identificazione propria o di altri e prevedendo ulteriori norme di contrasto a dichiarazioni mendaci circa l'identità o le qualità personali proprie o di altri.
      Il capo III (articoli 28, 29 e 30) reca modifiche al codice di procedura penale, coerenti con le norme introdotte nel codice penale. In particolare, si prevede che l'articolo 381 dello stesso codice di procedura penale si applichi anche per i nuovi reati concernenti la falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale o all'autorità giudiziaria sull'identità o qualità personali proprie o di altri, l'alterazione o mutilazione delle creste papillari dei polpastrelli delle dita o di altre parti del corpo e il rifiuto a collaborare in ordine all'identificazione propria o di altri.
 

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